di Felix B. Lecce

 

I sergenti istruttori dell’esercito britannico accolgono, per tradizione le reclute con un’allocuzione di benvenuto, sotto forma di urla e minacce di ogni tipo.

Gli inglesi schematizzano così l’ordine del discorso sergentizio di “benvenuto”: 

1) Dico ciò che dirò

2) Lo dico

3) Dico ciò che ho detto.

Quasi verrebbe da sospettare che i duri sergenti britannici compensino la scarsità di argomentazioni con qualche ridondanza di troppo.

Ma a ben pensarci, Marco Tullio Cicerone che certo non deficitava di parole e di vocabolario,  organizzava le sue orazioni secondo i canoni dell’eccellente oratore che, secondo lui, era chi  riusciva a portare avanti un discorso nel seguente ordine:
1) exordium: nei paragrafi iniziali citava l’argomento principale ed i criteri che avrebbe seguito nella successiva esposizione; 
2) narratio e argumentatio: poi, come dice la parola stessa, la descrizione dei fatti e le argomentazioni che suffragano il messaggio; 
3) peroratio: nel gran finale, sintetizzando, riproponeva gli argomenti più importanti e soprattutto ribadiva il messaggio. 
Lo schema dell’oratoria ciceroniana è certamente più complesso e raffinato di quello sergentizio, ma, in buona sostanza, utilizza gli stessi criteri espositivi. In ambedue gli schemi casi il messaggio viene anticipato nella prima parte, approfondito nella seconda,  riassunto e ribadito nella terza.
L’ordine del discorso dei sergenti dell’esercito britannico è ridondante, ben tre volte: dico ciò che dirò, lo dico, dico ciò che ho detto.
Sappiamo che di solito la ripetizione impedisce la sintesi e quando è esagerata può risultare addirittura fastidiosa, specialmente agli interlocutori linguisticamente più pedanti. Mentre invece, una ridondanza strategica, ben dissimulata da variazioni della forma e resa plausibile dall’ordine del discorso, può risultare utile e gradita ad ogni ascoltatore o lettore. Se infatti, nella premessa dichiariamo subito il messaggio, l’interlocutore, si aspetterà logicamente che a seguire faremo una esposizione più dettagliata ed estesa.
Allo stesso modo, quando annunciamo la conclusione («In conclusione: abbiamo detto…, abbiamo disaminato…quindi possiamo concludere...»), l’interlocutore si aspetta una riassuntiva ripetizione del messaggio.
La ridondanza dello schema del discorso sergentizio, ha il pregio di realizzare una sequenza, accettata ed anche attesa dall’interlocutore. Inoltre, ridondare tre volte sullo stesso messaggio, chiaramente con parole e modi diversi, genera due effetti molto graditi:
1) Riduce i rischi dell’incomprensione e della distrazione con conseguente perdita del “filo del discorso”. La ripetizione, meglio nota a molti con la locuzione latina “repita juvant”, è uno dei mezzi più efficaci per tentare di ridurre al minimo le possibilità d’incomprensione;
 2) Facilita la persuasione. Permette anche all’interlocutore più frettoloso di capire su cosa argomentate ed a quale scopo, senza dover necessariamente ascoltare o leggere la dettagliata trattazione, ma limitandosi soltanto a far attenzione all’inizio ed alla conclusione.
Ricorderai forse che il buon Giacomo Leopardi nel suo “Zibaldone” (del 17 settembre 1821) relativamente a persuasione per effetto delle ripetizioni, sosteneva che: «Nessuna opinione vera o falsa, ma contraria all’opinione dominante e generale, si è mai stabilita nel mondo istantaneamente, e in forza di una dimostrazione lucida e palpabile, ma a forza di ripetizioni e quindi di assuefazione». Non è forse attraverso ossessive ripetizioni che la moderna pubblicità cerca di indurci ad acquistare un certo prodotto o servizio? I più recenti studi delle neuroscienze e del marketing sembrano proprio confermare proprio le intuizioni di Leopardi: i processi di assimilazione di molte idee potrebbero sostanziarsi in realtà, semplicemente in ripetizioni fino alla assuefazione.
In conclusione, se fai o scrivi lunghi discorsi e vuoi assicurarti comunque l’attenzione e la comprensione degli interlocutori meno pazienti ed attenti, preannuncia come articolerai il tuo discorso in tripla ridondanza e poi agisci di conseguenza: 1) dì cosa dirai; 2) dillo in dettaglio; 3) riassumi e concludi formulando il tuo invito alla decisione e/o all’azione o avanza la tua richiesta.